La piaga sociale del tartufo estero: il punto di vista di moscato tartufi

La piaga sociale del tartufo estero: il punto di vista di moscato tartufi

Prima di cominciare, precisiamo che in questo articolo si parlerà di importazione di tartufo, truffe e differenze di qualità tra il tartufo italiano e il tartufo estero.

Nel rispetto di chi ci legge, pur dovendo affrontare tematiche tanto delicate quanto scomode, Moscato Tartufi si assume tutte le responsabilità per quanto riporterà in questo articolo, asserendo subito e con fermezza che l’importazione di tartufo estero in Italia non è assolutamente vietata.

Sul fatto che il tartufo sia tra gli alimenti gourmet più ambiti e costosi siamo tutti d’accordo.

E’ anche vero che non tutti possono definirsi esperti micologi o esperti del mercato tartufigeno italiano, europeo e del resto del mondo.

Forse è proprio a questa utenza che vogliamo rivolgere questo articolo, che vede come protagonisti da un lato il tartufo estivo, altrimenti detto “scorzone”, dall’altro la piaga sociale contro la quale le aziende italiane (quelle serie) e i cavatori si imbattono ogni giorno.

Ci rivolgeremo, quindi, a quella parte di ristoratori e imprenditori del tartufo che badano essenzialmente al prezzo, mettendo da parte qualità, trasparenza, tracciabilità e rispetto delle normative vigenti e della concorrenza leale.

Il tutto sperando di aver contribuito, alla fine di questo articolo, a darvi qualche informazione in più, da cui magari trarre beneficio per non inciampare in vere e proprie truffe.

Come abbiamo già più volte ricordato, ad incidere sul prezzo del tartufo, oltre al fattore economico del rapporto domanda/offerta, è anche la reperibilità.

Bene, a proposito del tartufo estivo c’è da dire che la reperibilità è elevatissima e che la domanda è altissima, in quanto questa specie di fungo ipogeo meglio si presta come “base” per la preparazione di salse tartufate o prodotti conservati al tartufo.

Penserete:” Perfetto: tartufo estivo ce n’è in quantità industriale, la domanda c’è. Qual è il problema?”

Il problema, cari lettori, è che la reperibilità del tartufo è sì elevata, ma NON SOLO IN ITALIA.

Decine di tonnellate di tartufo a settimana, infatti, vengono esportate da Bulgaria, Romania, Serbia, Croazia, Azerbaijan per poi finire sulle tavole dei ristoranti di mezza Europa, nell’ignoranza (quasi) totale dei ristoratori che acquistano e degli utenti che consumano.

E se vi dicessimo che anche molte aziende italiane, mentre voi leggete questo articolo, stanno contrattando una fornitura di tuber aestivum dalla Bulgaria, che a sua volta ritira da Paesi come Iran, Iraq e Afghanistan?

“L’Iran, la nuova frontiera dello scorzone”: è questo il titolo che avevamo pensato di dare a questo articolo, ma probabilmente chi si fosse limitato a leggere solo il titolo avrebbe potuto equivocare circa il nostro punto di vista rispetto al tartufo iraniano.

Famosissima per il tanto costoso quanto pregiato caviale Beluga, apprezzato in tutto il mondo, la Repubblica Islamica dell’Iran, da diversi anni, si pone come secondo paese esportatore di tirmanie, terfezie e simil-tartufi estivi dopo la Bulgaria, che ne è a sua volta il maggiore importatore.

Il tartufo iraniano si presenta insapore, di aspetto esterno non sempre regolare e dal peridio (crosta) molto meno accentuato del tuber aestivum italiano, che invece si presenta con verruche decisamente più grandi ma più o meno marcate a seconda della pianta simbionte e della zona di raccolta.

Proprio così, ogni pianta e ogni zona tartufigena italiana conferisce al tartufo un sapore e un aroma diverso. Questo è il motivo per cui lo scorzone umbro è diverso da quello veneto o laziale, mentre il bianco pregiato scovato nei pressi di una roverella è diverso per aroma e forma da quello trovato nei pressi di un tiglio.

Il tartufo bulgaro, invece, è simile al tartufo italiano nell’aspetto e nella composizione del peridio, ma quanto a sapore e aroma non c’è paragone: l’aroma e il sapore del tartufo italiano è impareggiabile.

Fermo restando che le informazioni che stiamo riportando ci sono state fornite da diversi clienti che hanno deciso di revocare la fiducia a chi per anni, dall’Italia, li ha letteralmente truffati con tartufo estero spacciato per italiano, decidendo così di concederla a noi, che acquistiamo solo da cavatori professionisti o occasionali tutti i tipi di tartufo, tutto l’anno, garantendo alla nostra clientela la tracciabilità del prodotto, con elaborazione in azienda del lotto all’origine e con certificazione in fattura della zona di raccolta (generalmente la provincia ma, ad esempio per piccoli ordini acquistati da una sola squadra di cavatori, riusciamo addirittura a certificare il comune e/o la zona montana in cui il tartufo è stato raccolto).

Ecco, se non è vietato importare tartufo dall’estero, è un reato grave spacciare il tartufo estero per italiano.

Ovviamente queste situazioni non riguardano solo il tartufo estivo: innumerevoli le partite di bianchetto italiano “tagliate” con terfezie tunisine o bianchetto bulgaro; abbondantissime le partite di tuber magnatum pico tagliate col bianchetto, soprattutto a inizio anno, quando la campagna del bianco pregiato finisce e contemporaneamente inizia quella del tuber borchii.

Per non parlare delle truffe a cui si presta il Tuber Melanosporum (Tartufo nero pregiato di Norcia e Spoleto) : soprattutto in Belgio e Germania, lo scorso inverno, arrivava dall’Italia un fantomatico Tuber Melanosporum Vitt. , raccolto (a parole) nelle zone montane di Umbria, Marche e Molise, a poche centinaia di euro, cifre irrisorie rispetto al prezzo di acquisto italiano per una buona pezzatura da ristorazione.

Risultato? Tartufo cinese, altrimenti denominato “Tuber indicum”, quasi uguale al nostro nero pregiato, anzi, davvero difficilmente riconoscibile anche per i più esperti, visto che, pur essendo senza aroma, se aggiunto a tartufi neri pregiati autentici, riesce a carpirne il profumo per diverse ore, lasciando il ristoratore convinto di aver fatto un buon affare. Qualche venatura rossa in meno e truffare anche i più esperti sarebbe un gioco da ragazzi.

Ora, molti di voi penseranno che questo articolo vuole essere un modo per valorizzare la serietà e la professionalità della nostra azienda, gettando fango su chi acquista dall’estero.

Nulla di più sbagliato, anche perché acquistare dall’estero, ribadiamolo, non è reato e non abbiamo nulla contro gli importatori: anche se è un reato gravissimo acquistare tartufo dall’estero e venderlo per italiano, non intendiamo sindacare sul modus operandi degli importatori, tra i quali si ravvisa anche qualche mosca bianca che vende bulgaro per bulgaro senza ingannare gli utenti.

Ma il nostro lavoro è altra cosa: la nostra mission è quella di selezionare le migliore qualità di tartufi italiani, certificandoli in fattura e garantendo agli utenti la tracciabilità.

Ovviamente il nostro target di clienti è diverso da quelli elencati finora: se domani proponessimo ai nostri chef un kg di tuber aestivum italiano a 50 euro avremo perso un cliente, non venduto un chilo in più. Quindi, per chiarire, prendiamo bene le distanze da chi voglia acquistare il tartufo al prezzo della bresaola.

Vi invitiamo, pertanto, a prendere questo articolo non come un’inchiesta sugli importatori italiani di tartufo iraniano o bulgaro, ma come un inno al made in Italy, al tartufo italiano, alla sua qualità che (almeno quella) resta inconfondibile e alle nostre squadre di cavatori che ogni sera entrano in azienda col sorriso, sicuri di trovarsi di fronte chi gli farà i complimenti per il raccolto prima ancora di accendere bilancia e calcolatrice.

Siamo convinti che il tartufo debba essere l’eccezione in ogni menù: l’eccezione, perché il tartufo è un sogno e noi ne abbiamo fatto uno stile di vita.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *